Lesioni da fendente
Le lesioni da fendente (da fendere = staccare trasversalmente) sono determinate da strumenti a “lama pesante”, dotati di un margine tagliente (ascia, scure, macete, accetta, ecc.).
L’azione fendente si esplica con duplice modo: con meccanismo tagliente dello spigolo affilato e con quello contundente della massa d’urto dello strumento, azionato con la forza del braccio.
In tali casi le ferite presentano margini lineari con bordi a volte ecchimotici, e sono spesso associate a mutilazioni (dita, naso, orecchie) o fratture delle ossa sottostanti; gli angoli delle ferite sono acuti e non sono evidenti codette a causa della preponderante azione pressoria del trauma; l’estensione e la profondità sono notevoli con margini ampi, divaricati, profondi ed ecchimotici.
Morfologicamente le ferite da fendente si differenziano dalle ferite lacero-contuse per l’assenza di ponti fibrosi sottesi fra i margini.
Fra le lesioni da fendente rientrano anche le lesioni prodotte da natanti ad elica, in genere multiple, parallele con il caratteristico aspetto ad “S” italica; il decorso e l’estensione della “S” potrebbe fornire utili indicazioni sulla velocità del natante sul tipo di elica e sulla sua rotazione (destrorsa o sinistrorsa).
I fendenti rappresentano inoltre i mezzi utilizzati più frequentemente nel depezzamento; con tale termine si indica lo smembramento del cadavere, operato per mezzo di mannaie, accette e talora seghe elettriche. In questi casi, considerato che non è sufficiente un solo colpo per depezzare un arto, è possibile rinvenire sulle ossa le intaccature dovute alla violenta e reiterata azione lesiva dell’arma e talvolta (per le lame a seghetto) identificare lo strumento utilizzato. Lo studio della vitalità delle lesioni consentirà di stabilire se il depezzamento sia avvenuto con il soggetto ancora in vita o in liminae vita o su cadavere.
Articolo creato il 26 gennaio 2014.
Ultimo aggiornamento: vedi sotto il titolo.