La depressione nell’anziano
Gianluca Isaia, Geriatra presso l’Ospedale Molinette di Torino e prossimo Presidente della Società di Geriatria e Gerontologia Piemonte Valle d’Aosta, interviene in una riunione scientifica organizzata dall’Accademia di Medicina di Torino sul tema “La depressione nell’anziano”.
Livia Tonti l’ha intervistato per il canale riservato alla classe medica M.D. Digital (Passoni editore, Milano).
La depressione è una patologia frequente negli anziani. È talmente frequente che non si può pensare che non possa generare disturbi che possono invalidare non solo la vita del paziente ma anche quella dei suoi familiari. Chi ne è affetto spesso riceve la diagnosi tardivamente, anche la terapia avviene in un periodo successivo rispetto a quello che dovrebbe essere. La depressione pesa anche sulle istituzioni sanitarie: i pazienti depressi consultano il medico 2-3 volte più spesso rispetto a soggetti non depressi. La malattia è sotto diagnosticata, si calcola che il 45% degli anziani depressi non riceva trattamento farmacologico. Eppure la depressione comporta problemi anche rilevanti come l’aumento della mortalità totale, della mortalità per suicidi, della comparsa di disabilità. Aumenta la tendenza all’istituzionalizzazione, la necessità di essere assistiti da familiari o badanti. Alcune comorbidità sembrano essere più associate alla depressione nelle fasi più avanzate della vita. Possono influire le malattie cardiovascolari ma quella che sembra essere più associata è il deterioramento cognitivo, la malattia di Alzheimer ed altri sottotipi. Il 20% dei pazienti con malattia di Alzheimer presenta anche un disturbo depressivo maggiore. La metà dei pazienti che presentano una demenza di tipo vascolare ha maggiori disturbi depressivi. Cosa nasce prima? La depressione favorisce la demenza oppure la demenza è anticipata da un segnale prodromico come la depressione?
Depressione e demenza condividono alcuni sintomi: deficit attentivi, della working memory (capacità esecutiva della memoria), insonnia, graduale e progressiva riduzione delle capacità sociali e relazionali. La vera differenza è data dal fatto che la demenza aumenta con l’età mentre la depressione ha una prevalenza tendenzialmente stabile per tutta l’età adulta. Un ulteriore link tra depressione e demenza è il seguente: più è rilevante la frequenza e la severità di episodi depressivi, tanto maggiore è il rischio di demenza. Studi condotti post mortem su cellule cerebrali di pazienti affetti da deterioramento, in particolare Alzheimer, mostrano come chi era affetto da Alzheimer e presentava una depressione avesse un maggior deposito di placche beta-amiloidi a livello ippocampale, un fenomeno che può aver accelerato il deterioramento cognitivo. La depressione è considerata anche un sintomo prodromico di demenza, uno dei tanti corollari che l’anticipano. Occorre interrogarsi di conseguenza sul trattamento. Bisogna essere certi che si sta trattando una depressione perché tale è il paziente, anche se dopo qualche anno può sviluppare una demenza. Il trattamento differisce se si è in presenza di una demenza anticipata, quando il campanello d’allarme della depressione è già arrivato.
È lecito ipotizzare che un sottotipo di depressione sia in grado di influenzare la demenza. I meccanismi sono diversi, può esserci l’incremento di un processo infiammatorio comune oppure un sottotipo può innescare per via indiretta la demenza attraverso la microglia. La depressione potrebbe accelerare l’invecchiamento cerebrale e l’aumento di beta-amiloide. Sia nella depressione che nell’Alzheimer si verifica una riduzione della densità, dell’elasticità, del volume dei neuroni. Diminuiscono le sinapsi, la capacità di interazione tra neuroni che si manifesta clinicamente con un peggioramento della risposta nei riflessi.
Il trattamento della depressione specie in pazienti affetti da deterioramento cognitivo deve essere multifattoriale. Occorre agire sia con la terapia farmacologica (antidepressivi) ma anche anticipare e prevenire con la modifica strutturale in età adulta degli stili di vita, dell’attività fisica, della riduzione di processi infiammatori.
Pensare che la terapia farmacologica da sola possa influenzare in modo sostanziale in questa fascia d’età è estremamente riduttivo. Gli antidepressivi sono efficaci in tutta la popolazione, anche in età anziana ma vi sono certezze minori nella risposta da parte degli anziani con deterioramento cognitivo. Alcune metanalisi hanno dimostrato risultati solo debolmente positivi. Il trattamento dei pazienti depressi con deterioramento cognitivo dev’essere ponderato sulla base del paziente. Non va trattata la depressione in pazienti con forma severa di Alzheimer, l’effetto farmacologico sui sintomi depressivi sarebbe inefficace. Il paziente riceve solo il rischio determinato dagli effetti collaterali per l’interazione con altri farmaci che già assume, senza risvolti effettivi dalla terapia antidepressiva. Un aspetto spesso sottovalutato è il numero di farmaci che le persone, tanto più anziane, devono assumere. Più è alto il numero, peggiore è la qualità di vita, tanto minore è l’aderenza al trattamento farmacologico. Più farmaci prescriviamo, più siamo certi che il paziente sceglierà arbitrariamente di non assumerne qualcuno. Gli inibitori della ricaptazione della serotonina, gli antidepressivi maggiormente prescritti agli anziani rispetto ai triciclici, hanno un’aderenza alla terapia inferiore al 50%. Non sussiste una chiara evidenza in grado di supportare con ragionevole efficacia l’indicazione di una terapia antidepressiva in pazienti affetti da deterioramento cognitivo. Non significa che i pazienti malati di Alzheimer non debbano essere trattati farmacologicamente. Va valutato il singolo caso basandosi sulla storia clinica, anamnestica, patologica del paziente che abbiamo di fronte.
Dott. Gianluca Isaia