Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS)
L’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS) è un’assicurazione sociale obbligatoria per tutti i lavoratori dipendenti, operai ed impiegati (anche a domicilio), di ambo i sessi, a partire dai 18 anni d’età e di qualsiasi nazionalità, che copre i danni subiti e derivati da rischi non lavorativi come la vecchiaia e la disoccupazione involontaria. I contributi vengono pagati con responsabilità dal datore di lavoro (con facoltà di prosecuzione e integrazioni volontarie da parte dell’assicurato) proporzionati alla retribuzione. L’obbligo permane senza limiti di età, finché esiste la prestazione lavorativa. Come l’INAIL, è una forma di previdenza sociale.
L’INPS svolge funzioni sia di natura previdenziale che di natura assistenziale.
Le prime, come già detto, fondate su rapporti assicurativi e previo versamento di contributi sono rappresentate da:
- pensione di vecchiaia;
- pensione di anzianità;
- pensione ai superstiti (spetta al coniuge o, in mancanza, ai figli, ai nipoti, ai genitori, ai fratelli);
- assegno di invalidità;
- pensione di inabilità;
- pensione in convenzione internazionale per il lavoro svolto all’estero;
- fondi speciali;
- fondi sostitutivi;
- causa di servizio (o pensionistica privilegiata).
Le seconde sono attribuite all’INPS soprattutto per motivi gestionali:
- integrazione delle pensioni al trattamento minimo;
- assegno sociale;
- invalidità civile.
Gestisce anche prestazioni a sostegno del reddito come indennità di:
- disoccupazione;
- malattia;
- maternità;
- cassa integrazione;
- trattamento di fine rapporto;
- cure termali;
- indennità antitubercolare.
Gestisce, infine, prestazioni che agevolano coloro che hanno redditi modesti e famiglie numerose:
- assegno per il nucleo familiare;
- assegni di sostegno per la maternità e per i nuclei familiari concessi dai Comuni.
Gestisce anche la banca dati relativa al calcolo dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) che permette di fruire di alcune prestazioni sociali agevolate.
Le forme di pensionamento erogate dall’INPS possono essere divise in:
- Forme da accertamento amministrativo (il vitalizio erogato è proporzionale alla contribuzione del periodo lavorativo), tra cui:
- Pensione di vecchiaia, che spetta al compimento di una determinata età (65 anni per gli uomini e 60 per le donne) possedendo almeno i minimi requisiti contributivi (20 anni); la pensione di vecchiaia spetta anche quale conversione dell’assegno di invalidità per coloro che hanno un invalidità di almeno l’80% al compimento del 60° anno per gli uomini e del 55° anno per le donne (pensione di vecchiaia anticipata).
- Pensione di anzianità, che spetta al raggiungimento di un requisito contributivo non inferiore al massimo computabile (35-40 anni di effettiva contribuzione).
- Forme da accertamento medico-legale, tra cui:
- Assegno di invalidità (legge 222/1984), che spetta a qualunque età, in caso di sopraggiunta invalidità che determini la perdita di almeno il 67% della capacità lavorativa in occupazioni confacenti le proprie attitudini (a differenza dell’assegno per l’invalidità civile che viene riconosciuto con la perdita di capacità lavorativa generica superiore al 33%), purché sussistano requisiti assicurativi e contributivi fissati per legge.
L’assegno ordinario di invalidità non ha carattere definitivo ma ha una durata massima di tre anni ed è rinnovabile su domanda del beneficiario, che viene quindi sottoposto ad una nuova visita medico-legale. Dopo due conferme consecutive l’assegno diventa definitivo mentre al compimento dell’età pensionabile l’assegno viene trasformato in pensione di vecchiaia, ricorrendo i relativi requisiti.
Il diritto all’assegno di invalidità sussiste anche in caso di infermità pre-esistenti al rapporto assicurativo allorché suscettibili di aggravamento o che per l’aggiunta di nuove patologie concorrono a determinare la riduzione della capacità di lavoro in occupazioni confacenti oltre i due terzi; si parla in tal caso di vizio precostituito. - Pensione di inabilità, che spetta a qualunque età, in caso di sopraggiunta inabilità (invalidità del 100%), purché sussistano i requisiti assicurativi e contributivi fissati per legge.
La pensione di inabilità è una pensione che spetta ai lavoratori dipendenti e autonomi affetti da un’infermità fisica o mentale che presentano determinati requisiti: oltre l’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi lavoro, è necessaria una anzianità assicurativa e contributiva pari a 5 anni di assicurazione (260 contributi settimanali), dei quali almeno 3 anni (156 settimane) versati nei cinque anni precedenti la domanda di pensione di inabilità. La richiesta di questi requisiti minimi è dettata dalla necessità di impedire speculazioni da parte di soggetti che, ad esempio, già ammalati, inizino a versare contributi per poter ricevere le prestazioni previdenziali.
Chi ottiene la pensione di inabilità non può svolgere un’attività lavorativa dipendente; essere iscritto ad un albo professionale; essere iscritto negli elenchi degli operai agricoli o dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, mezzadri e coloni). Deve anche rinunciare a trattamenti integrativi, sostitutivi o a titolo di disoccupazione.
Secondo l’articolo 5 della legge 222/1984, i pensionati per inabilità possono chiedere l’assegno per l’assistenza personale e continuativa, se si trovano nell’impossibilità di camminare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure hanno bisogno di assistenza continua in quanto non sono in grado di condurre da soli la vita quotidiana.
- Assegno di invalidità (legge 222/1984), che spetta a qualunque età, in caso di sopraggiunta invalidità che determini la perdita di almeno il 67% della capacità lavorativa in occupazioni confacenti le proprie attitudini (a differenza dell’assegno per l’invalidità civile che viene riconosciuto con la perdita di capacità lavorativa generica superiore al 33%), purché sussistano requisiti assicurativi e contributivi fissati per legge.
L’idoneità psico-fisica dell’individuo ad espletare attività lavorativa si distingue in:
- Capacità di lavoro generica: è l’idoneità psico-fisica dell’individuo ad espletare una qualsiasi attività lavorativa.
- Capacità di lavoro specifica: è l’idoneità psico-fisica dell’individuo ad espletare il proprio lavoro.
- Capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle proprie attitudini: è l’idoneità psico-fisica dell’individuo ad espletare attività simili a quella esercitata e alle quali lo stesso possa eventualmente dedicarsi, facendo uso del proprio patrimonio bio-attitudinale-professionale.
Un’occupazione confacente alle proprie attitudini è quell’occupazione adeguata alla personalità del lavoratore, alla sua preparazione, alla sua competenza tecnica, al suo addestramento, ai suoi interessi, alla sua età, al sesso.
La capacità di lavoro attitudinale indica una specifica “attitudine” al lavoro (es. lavoro nei campi, lavoro artigiano, ecc.) maturato sulla scorta del proprio “curriculum lavorativo”. Ciò rileva in maniera sostanziale allorquando si deve operare una valutazione medico-legale del lavoratore: a parità di infermità, infatti, ciascun soggetto risulta invalido in misura differente a seconda della propria attitudine lavorativa. Così una “triplice ernia discale” rileverà in misura differente se si valuta un bracciante agricolo (con “attitudine” al lavoro agricolo) oppure un centralinista (con “attitudine” al lavoro sedentario).Da quanto appena detto, si comprende che la valutazione medico-legale della invalidità (così come quella della inabilità) prescinde dall’uso di Tabelle. A differenza di altri ambiti, come l’invalidità civile, il medico-legale INPS deve operare una valutazione empirica, fondata soprattutto sulle reali capacità di quel lavoratore. Paradossalmente (anche se molto spesso fonte di vertenze) è il giudizio sulla inabilità che si presenta, indipendentemente dalla attitudine lavorativa e consiste nella reale impossibilità a svolgere qualsivoglia attività.
Articolo creato il 13 febbraio 2014.
Ultimo aggiornamento: vedi sotto il titolo.