Crioglobulinemia
Per crioglobulinemia si intende la presenza nel siero di una o più immunoglobuline con la peculiare (e reversibile) caratteristica di precipitare a temperature inferiori a 37 °C e di ritornare in soluzione con il calore.
Quando dobbiamo effettuare un esame per il riscontro di crioglobulinemia non possiamo utilizzare aghi e provette prese a caso dall’armadietto, ma dobbiamo utilizzare materiale preventivamente lasciato in termostato a 37 °C. Dopo la fase di prelievo, esso viene lasciato coagulare nel termostato, in quanto a temperatura ambiente rischieremmo di perdere alcune crio durante la coagulazione e quindi sottostimare il risultato dell’esame.
Cenni storici
La prima volta in cui è stato descritto il fenomeno di crioprecipitazione è stata nel 1933 ad opera di Wintrobe (famoso per la provetta utilizzata nell’esame della VES) e Well.
Nel 1947 Werner e Watson usarono per la prima volta il termine di crioglobuline ed associarono la presenza di queste proteine nel plasma ad alcune manifestazioni cliniche come la porpora e la glomerulonefrite.
Negli anni ‘60 Lospalluto e Meltzer descrissero la classica triade sintomatologica della crioglobulinemia: porpora palpabile, artralgie, astenia. Il quadro si associa ad alti livelli di Fattore Reumatoide e prende il nome di Sindrome di Lospalluto-Meltzer.
Meccanismo di precipitazione
Il meccanismo non è ancora del tutto chiaro. Si ipotizzano due varianti:
▪ Presenza interazioni particolari all’interno delle componenti della crio, soprattutto nella forma mista;
▪ Alterazioni strutturali di alcune porzioni delle immunoglobuline che costituiscono la crio.
Epidemiologia
Frequente maggiormente nei paesi del Sud Europa rispetto alle popolazioni del Nord, rapporto F:M di 3:1 e colpisce soggetti di età media di 50 anni con range di comparsa sintomi 30-75 anni.
Non si tratta di un disordine raro, in quanto si manifesta in più di 1/5000 persone, ma è una malattia molto sottovalutata in quanto:
▪ È spesso asintomatica. Il quadro si manifesta dopo molto tempo;
▪ Il polimorfismo è molto elevato: il quadro clinico può colpire “diversi organi (rene, fegato, cute, muscolo, SNC, SNP, intestino, polmone) e quindi le manifestazioni sono diverse da soggetto a soggetto.
Classificazione immunochimica
1) Crioglobulinemia singola di I° tipo (5-10%)
Composizione:
Immunoglobulina singola monoclonale, di classe IgG, IgM o più raramente IgA, in grado di auto-aggregarsi attraverso il frammento Fc.
Malattie associate:
Disordini linfoproliferativi: Mieloma Multiplo, Macroglobulinemia di Waldenström, Leucemia linfatica cronica, Linfoma non-Hodgkin a cellule B.
Alterazioni tissutali:
Le alterazioni istologiche tissutali sono quelle proprie delle malattie sottostanti.
2) Crioglobulinemia mista di II° tipo (50-65%)
Composizione:
Immunocomplessi in cui la componente antigenica è generalmente una IgG policlonale, mentre la componente (auto)anticorpale è generalmente una IgM-k monoclonale, con attività di Fattore Reumatoide (cioè anti-IgG).
Malattie associate:
▪ Infezioni croniche, soprattutto virali (HCV, HBV, HIV)
▪ Disordini autoimmunitari
▪ Disordini linfoproliferativi
Alterazioni tissutali:
▪ Vasculite leucocitoclastica
▪ Espansione B-linfocitaria con infiltrati tissutali
3) Crioglobulinemia mista di III° tipo (30-40%)
Composizione:
Immunocomplessi in cui la componente antigenica (generalmente IgG), sia la componente (auto)anticorpale (generalmente IgM) sono di tipo policlonale. Anche in questo caso, la componente anticorpale ha attività di Fattore Reumatoide.
Malattie associate:
▪ Infezioni croniche, soprattutto virali (HCV, HBV, HIV)
▪ Disordini autoimmunitari
▪ Processi infiammatori cronici
Alterazioni tissutali:
▪ Vasculite leucocitoclastica
▪ Espansione B-linfocitaria con infiltrati tissutali
4) Crioglobulinemia mista di II-III° tipo
Composizione:
Immunocomplessi in cui la componente antigenica è generalmente una IgG policlonale, mentre la componente (auto)anticorpale è eterogenea, (sia IgM-k monoclonale, sia IgM oligo-policlonale). È considerata una forma di passaggio da una CM di tipo III ad una CM di tipo II, a sua volta espressione di selezione e proliferazione di un singolo clone (espansione monoclonale) di linfociti B e quindi di una possibile evoluzione verso disordini linfoproliferativi (discrasia plasmacellulare).
Malattie associate:
▪ Infezioni croniche, soprattutto virali (HCV, HBC, HIV)
▪ Disordini autoimmunitari
▪ Disordini linfoproliferativi
Alterazioni tissutali:
▪ Vasculite leucitoclastica
▪ Espansione B-Linfocitaria con infiltrati tissutali
Classificazione eziologica
▪ Crioglobulinemia mista essenziale: non è identificabile alcuna causa di patologia associata;
▪ Crioglobulinemia mista secondaria: risulta associata ad altre cause o patologie immunologiche, neoplastiche e infettive.
Prima del 1989, il 90-95% delle forme di CM diagnosticate appartenevano alla classe mista essenziale, mentre solo il 5-10% erano attribuibili a infezioni da HBV, HIV o a disordini autoimmuni e linfoproliferativi.
Cosa è cambiato nel 1989? Viene scoperto a Los Angeles il virus dell’HCV, riscontrato nel siero di un paziente portatore di un’epatopatia non-A, non-B. Si capì subito che questo virus aveva un’alta associazione con la crioglobulinemia, in quanto in quel 90% di forme essenziali, ben l’86% presentavano anticorpi anti-HCV e in molti casi anche una copia del genoma virale.
Crioglobulinemia mista e infezione da HCV
▪ Seppure in minime quantità, crioglobuline sono rintracciabili in oltre il 50% dei pazienti con infezione da HCV.
▪ Oltre il 90% dei pazienti con CM risulta positivo per gli anticorpi anti-HCV.
▪ La prevalenza di CM in pazienti anti-HCV positivi aumenta con la durata dell’infezione (pazienti HCV/CM+ hanno una durata di infezione almeno il doppio rispetto ai pazienti HCV+/CM-).
▪ Tutti i genotipi di HCV possono associarsi con uguale frequenza alla CM.
▪ Solo il 5% dei pazienti con CM associata ad infezione da HCV sviluppa una sindrome crioglobulinemica clinicamente evidente.
Manifestazioni extraepatiche associate all’infezione da HCV
A) Associazione definita sulla base di due fattori: forte prevalenza e patogenesi
▪ Crioglobulinemia mista (sindrome clinica completa o incompleta)
B) Prevalenze significative più elevate rispetto ai controlli:
▪ Linfomi non-Hodgkin a cellule B
▪ Gammapatie monoclonali
▪ Porfiria cutanea
▪ Lichen planus
C) Situazioni in attesa di conferma/caratterizzazione
▪ Tireopatie autoimmuni
▪ Carcinoma della tiroide
▪ Sindrome sicca
▪ Fibrosi polmonare
▪ Diabete mellito
D) Osservazioni aneddotiche:
▪ Psoriasi
▪ Artrite reumatoide
▪ Polarterite nodosa
▪ Fibromialgia
▪ Ulcere
VEDI IMMAGINE PG.28
Meccanismo di azione
Il virus dell’HCV oltre ad essere epatotropo ha anche affinità verso i linfociti. Il suo ingresso all’interno di queste cellule avviene attraverso il legame tra una proteina di superficie dell’envelope (HCV-E2) e il recettore CD81 presente sia sui linfociti che sugli epatociti.
In pazienti con crioglobulinemia mista che presentano replicazione virale attiva, ci sarebbe una cronica stimolazione dei linfociti da parte sia di antigeni virali che auto-antigeni (probabilmente a causa di mimetismo molecolare tra i due). Questa stimolazione attiverebbe i linfociti B che amplificano la produzione di auto-anticorpo e linfociti T che attraverso un’azione citotossica sarebbero responsabili della comparsa di disturbi autoimmuni.
D’altra parte l’interessamento dell’infezione a livello dei linfociti sarebbe causa di anomalie geniche come traslocazioni T (14:18), over-espressione di oncogeni (es. Bcl2), inibizione dei normali processi di apoptosi dei linfociti B: questo favorirebbe l’insorgenza di cellule immortali, che essendo cellule instabili possono subire altre aberrazioni geniche e portare alla comparsa di patologie neoplastiche linfoproliterative.
La connessione tra le due situazioni è proprio la crioglobulinemia che nella sua forma tipo III è una patologia autoimmunitaria mentre in quella tipo II è una discrasia plasmacellulare e quindi neoplastica. Le due forme non sono diverse ma sono l’espressione di due diversi stadi dopo infezione da virus HCV.