COVID-19 – La voce degli esperti – Parte 2
Intervista del dott. Fausto D’Agostino a 20 esperti impegnati in trincea
Parte 1 – Parte 2 – Parte 3 – Parte 4
Il COVID 19 ci atterrisce e ci unisce tutti in un’unica meravigliosa ITALIA!
Per la prima volta, dal dopo guerra ad oggi, tutta la nazione lotta in modo sinergico e si stringe attorno a slogan come #iorestoacasa e “andrà tutto bene”, che sostengono il Paese e i suoi professionisti sanitari, chiamati ad agire in prima linea contro questo nemico invisibile ma tanto pericoloso.
In qualità di medico, specializzato in Anestesia e Rianimazione, sto collaborando con il Ministero della Salute rispondendo al Numero di utilità pubblica 1500 ed ho potuto raccogliere sia le domande dei cittadini (giustamente preoccupati anche da sintomi aspecifici) sia quesiti di differenti operatori sanitari (medici di medicina generale, medici del 118, specialisti di varie branche, infermieri, ecc.). Le domande che l’emergenza ci pone sono tante e variegate, per questo ho ritenuto opportuno provare a dare un inquadramento generale, il più possibile scientifico, alla grande mole di informazioni a cui siamo sottoposti quotidianamente dai media. In questo mese (marzo 2020) è stato pubblicato il libro “Medico di Guardia – Diagnosi e Terapia 2020” da me curato con il coinvolgimento di autorevoli specialisti esperti nelle diverse branche della medicina, presenti su tutto il territorio nazionale. Pertanto, ho selezionato tra di loro chi si trova in prima linea a fronteggiare la pandemia formulando delle domande specifiche, che ci possano aiutare a fare un punto sulla situazione attuale.
Ho voluto intervistare molte persone coinvolte a vario titolo nell’emergenza sanitaria COVID-19, per dare voce a più professioni (sia dell’area medica che politica e gestionale) che operano con grande competenza ed impegno nella stessa nazione, anche se in regioni diverse, e che costituiscono un esempio encomiabile del lavoro che si sta svolgendo per fronteggiare la situazione.
Chi opera in prima linea è sottoposto ad un importante stress psicologico, qual è l’impatto psicologico? Risponde il Prof. Alessandro Meluzzi, Psicoterapeuta Specialista in Psichiatria a Torino, Rimini, Roma.
Trattare le questioni delle malattie gravi che insorgono in modo improvviso e che possono avere esiti letali è una delle grandi questioni della medicina d’urgenza e della medicina delle catastrofi. La reazione all’angoscia di morte nel senso di impotenza e lo stress operativo sono entrambi potenti fattori, esattamente come la cura della cronicità, che alimentano la sindrome del burn-out. Sindrome dell’operatore bruciato nella quale la motivazione all’accoglienza e all’assistenza vengono sostituite da una certa reazione depressiva, talvolta disforico-aggressiva, nei confronti di ciò che si sta facendo.
Mentre le terapie con esito positivo determinano un rinforzo nell’emotività e nella gratificazione, la frustrazione accompagnata dallo stress di performance, dalla paura, dall’ansia e dalla depressione derivante dall’esito letale è un potente fattore di generazione del burn-out. Per prevenirlo occorre un marcato sviluppo dell’introspezione per avere una corretta vigilanza autocosciente sulle proprie reazioni interiori ma anche un certo atteggiamento meta-cognitivo, cioè sapere che cosa si sta sapendo e pensare che cosa si sta pensando, in modo da guardarsi dall’esterno. Perché questo non diventi un esercizio onnipotente frustrato e solipsistico, bisogna avere la capacità di condividere, relazionarsi e di stabilire relazioni interpersonali forti. Soltanto nella dimensione dell’intersoggettività e dell’interpersonalità la prevenzione del burn-out diventa la costruzione di una dimensione condivisa in cui l’empatia diventa fattore di resilienza. La non-perdita delle emozioni rimane quel fattore di umanizzazione della cura, sempre fondamentale ma ancora di più quando il contesto è particolarmente stressante e drammaticamente frustrante, come di fronte alle grandi crisi. L’operatore di cura, però, è un soggetto capace di ispirarsi sempre e comunque al valore della vita.
In questa drammatica emergenza il ruolo del medico di base è fondamentale, qual è l’opinione del Dott. Carlo Gargiulo, Medico di Medicina Generale, Roma?
Non eravamo preparati a questa evenienza, ma d’altra parte, chi lo era? Non voglio polemizzare sul mancato ruolo che avrebbe potuto avere il MMG (preparato e protetto) nella gestione del primo livello dell’epidemia, ma voglio solo mettere l’accento sul fatto che la malattia non è solo COVID.
Il paziente cardiopatico, l’iperteso, il bronchitico cronico, il diabetico continuano ad aver bisogno del MMG per le incombenze connesse alla loro malattia ed anche per l’aspetto burocratico che di queste incombenze rappresenta una parte non trascurabile. In questo senso, il ruolo del MMG rimane fondamentale: è importante continuare a garantire un’assistenza che non è fatta solo di ricette, ma che unisce a queste la capacità di far rispettare i limiti imposti dalla quarantena; è un compito alquanto arduo, che ci è ricaduto addosso senza preavviso. Abbiamo dovuto riorganizzare l’assistenza (almeno in alcune regioni) in modo da evitare gli spostamenti delle persone, utilizzando al massimo telefono, e-mail e servizi informatizzati, combattendo anche contro l’ottusità di regolamenti a dir poco “borbonici” che ancora prevedono una ricetta “rossa” stampata e firmata (mi raccomando con la penna nera!).
Ancora una volta la medicina di famiglia ha risposto e si è esposta in prima linea per evitare che oltre al carico dei decessi per coronavirus si aggiungessero i decessi per tutte le altre patologie croniche che, inevitabilmente, si sarebbero aggravate. Per quello che sento e che vedo, il nostro ruolo di MMG anche nell’emergenza del coronavirus è rimasto insostituibile proprio per garantire una risposta a tutto quello che coronavirus non è!
Qualcuno ha detto che “dopo” non si dimenticherà dei medici e del personale sanitario. Auguriamocelo!
Raffaele Quarta, medico che opera in emergenza extraospedaliera a Brindisi, quali criticità e problematiche si trova ad affrontare in questa emergenza?
Il personale del 118 è in prima linea ogni giorno a fronteggiare l’emergenza sanitaria del coronavirus ed è costretto a lavorare molto spesso senza dispositivi di protezione idonei, mettendo così a serio rischio la propria vita e quella dei pazienti assistiti. Già in diverse Asl i direttori 118 stanno riducendo le ambulanze per la mancanza di DPI. Ciò che manca nei depositi, in Puglia come quasi ovunque nel resto d’Italia, sono le tute, le mascherine «FFP2» (quelle che si usano sulle ambulanze) e «FFP3» (reparti di terapia intensiva), mentre è gestibile la situazione che riguarda le mascherine chirurgiche (personale civile, volontari).
In virtù della decennale esperienza in Rianimazione della Dott.ssa Marinella Sabato, Infermiera presso l’U.O. di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale “Vito Fazzi” di Lecce, le chiedo qual è la gestione infermieristica nei pazienti COVID-19 in Terapia Intensiva.
La gestione infermieristica del paziente infetto da COVID-19 in Terapia Intensiva richiede particolari sforzi ed energie fisiche e psichiche perché si tratta di pazienti intubati, sedati e curarizzati che, a seconda del quadro polmonare, richiedono una periodica pronazione (pratica delicata e indispensabile che serve a migliorare l’ossigenazione dei polmoni, ma che richiede l’intervento di 4 o 5 operatori sanitari trattandosi di pazienti anestetizzati e quindi assolutamente non collaboranti). Bisogna lavorare concentrati al massimo, compiere azioni precise e mirate in quanto si lavora con la consapevolezza che una manovra sbagliata o una piccola disattenzione potrebbe metterti a rischio di contrarre facilmente l’infezione. Si lavora con DPI ingombranti, ma assolutamente indispensabili, che comunque rendono molto più faticose azioni e manovre che normalmente non lo sarebbero. Il carico di lavoro è moltiplicato, anche perché il personale è numericamente insufficiente a fronteggiare l’emergenza (ciò dovuto anche al fatto che giorno dopo giorno tra il personale sanitario aumenta il contagio). L’attuale situazione di emergenza, a causa delle ridotte risorse umane ed economiche, rende quindi la gestione di questi pazienti ancora più complessa e problematica.
Chiedo al Dott.ssa Federica Tedde, Infermiera UTI, AOU “Cliniche San Pietro” di Sassari, quali rischi corre un operatore sanitario che opera a stretto contatto con pazienti affetti da Coronavirus.
L’Infermiere appartenente a tale realtà deve essere messo in grado di fronteggiare questa emergenza. Essendo il professionista sanitario maggiormente a contatto con il paziente, le difficoltà non riguardano prettamente la sfera che comprende il ricovero e l’emergenza UTI, ma soprattutto il rischio dovuto all’operare in un ambito altamente infettivo con l’utilizzo dei DPI che, se da un lato proteggono gli operatori, dall’altro creano non poche difficoltà sia dal punto di vista sensoriale e motorio sia della resistenza fisica sul lungo periodo. Infatti, partendo dal fatto che nonostante gli ingressi in un’area isolata debbano essere limitati, i periodi di permanenza all’interno di una UTI non possono essere brevi per poter prestare un’adeguata assistenza al paziente. Un uso prolungato di tute, maschere, occhiali e visiere possono risultare affaticanti per il caldo che trasmettono e dolorose per i decubiti che si vanno a formare. Inoltre, tale condizione prova l’Infermiere anche da un punto di vista psicologico, incidendo non poco sul proprio equilibrio.
Questa pandemia si configura come una sfida senza precedenti che l’intera umanità è chiamata a fronteggiare. Gli attori principali di questa lotta sono gli operatori sanitari, che stanno dimostrando di vivere il proprio impegno lavorativo in modo eroico, come missione. Al di là della preparazione, dello spirito di dedizione e della vocazione alla salute, tutti gli operatori sanitari hanno il pieno diritto di essere tutelati nello svolgimento di un così difficile lavoro, che mette costantemente a rischio la vita di ciascuno di loro. Sarà fondamentale organizzarsi rapidamente per garantire maggiori risorse e tecnologie adeguate all’emergenza in atto, indipendentemente dalla nazionalità di appartenenza. Ciò che porterà a sconfiggere la pandemia sarà la capacità di condividere, tra tutte le nazioni del mondo in modo trasparente e lealmente cooperativo, le conoscenze apprese e tutti gli strumenti che si stanno rivelando efficaci nella lotta contro il virus.
Verosimilmente, siamo ancora all’inizio di una lunga guerra dilagata in tutto il mondo e costituita da molte battaglie, delle quali alcune già vinte. Questo ci dà la possibilità di pensare positivo e di remare tutti insieme per il raggiungimento di un obiettivo comune. Lo stesso Papa Francesco ha dichiarato “Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda.”
Stringiamoci in una sola grande umanità e lottiamo uniti contro il nemico invisibile!
ANCHE TU PUOI FARE LA DIFFERENZA, DONA.
Dott. Fausto D’Agostino
Specialista in Anestesia e Rianimazione
Rileggi l’intervista a:
- Alessandro Meluzzi, Specialista in Psichiatria, Psicologo e Psicoterapeuta, Torino, Rimini, Roma
- Carlo Gargiulo, Medico di Medicina Generale, Roma
- Raffaele Quarta, Medico Emergenza Territoriale 118, Brindisi
- Dott.ssa Marinella Sabato, Infermiera Unità Operativa Anestesia e Rianimazione, Ospedale “Vito Fazzi”, Lecce
- Dott.ssa Federica Tedde, Infermiera UTI, AOU “Cliniche San Pietro”, Sassari
Fine Parte 2.
L’intervista continua su: Parte 1 – Parte 3 – Parte 4.