Comportamento vittimogeno
In criminologia l’attenzione posta alla vittima ed al suo ruolo, più o meno attivo o passivo che sia stato, è di fondamentale importanza per capire la genesi e lo sviluppo dell’evento criminale. Agli inizi della criminologia, l’attenzione veniva riposta completamente sul criminale o sull’azione deviante, mentre la vittima veniva percepita come totalmente passiva ed in balia degli eventi. Quando è stato rilevato che alcuni soggetti avevano avuto delle “responsabilità” per la propria vittimizzazione (ad es., avevano provocato l’aggressore oppure avevano ignorato dei segnali di pericolo) il “focus” di indagine si è spostato, comprendendo tutti gli attori della scena criminale.
In un ambito criminale può essere utile una definizione di vittima di questo tipo: quel soggetto che in maniera diretta o indiretta (ad esempio, attraverso minacce) ha subito un danno fisico, psicologico o economico durante la commissione di un crimine.
Le funzioni della vittimologia sono principalmente due: una funzione preventiva con lo scopo di tentare di ridurre le numerose vittime e le circostanze contestuali nelle quali è più probabile essere vittimizzati (attraverso la ricerca e lo studio sulle specifiche proprietà bio-psico-sociali della vittima e del suo rapporto con l’aggressore) ed una funzione riparativa per ridurre gli effetti dei danni fisici e psicologici arrecati grazie allo studio sugli effetti sulla vittima riscontrabili sia a breve che lungo termine. La vittimologia dunque studia la sfera bio-psico-sociale della vittima, ma anche il rapporto da essa avuto con il proprio aggressore, il contesto ambientale (fisico e psicologico) entro il quale è stata compiuta un’azione criminale e, nel caso di vittima sopravvissuta, le conseguenze fisiche (danni biologici), psicologiche (traumi a breve-medio-lungo termine) e sociali (reazioni del gruppo primario, come la famiglia, del gruppo secondario come ad es. gli amici, e delle agenzie di controllo come le forze di polizia o i tribunali).
I concetti fondamentali sono:
- Criminale-vittima: non si nasce vittima o criminale, ma sono gli eventi a determinare i ruoli.
- Vittima latente: ci sono alcune categorie di vittime che, per fattori sociali o psicopatologici, hanno una particolare predisposizione ad essere vittimizzate.
- Rapporto vittima-aggressore: bisogna porre particolare attenzione al tipo di relazione esistente fra la diade.
Un altro concetto fondamentale è quanta responsabilità attribuire alla vittima all’interno dell’azione deviante. Nella classificazione vengono riscontrati diversi gradi di colpa: vittima “del tutto innocente” (come i bambini); vittima “con colpa lieve” e vittima “per ignoranza” (es. passeggero che, a bordo di un’auto, distrae il guidatore e, causando una sbandata del veicolo, rimane ferito ed ucciso); vittima “colpevole quanto il delinquente e vittima “volontaria” (come il suicidio nella roulette russa, il suicidio “per adesione” o in coppia, etc.); vittima “maggiormente colpevole del delinquente” (come nel caso della vittima provocatrice e della vittima imprudente); vittima “con altissimo grado di colpa” e vittima come “unica colpevole” (ad es., il criminale che aggredisce una persona e viene da questa ucciso per legittima difesa).
Un’altra classificazione, secondo la quale un soggetto può contribuire alla propria vittimizzazione, prevede: la precipitazione, se la condotta della vittima incoraggia il comportamento del futuro aggressore (come ad es. la provocazione fisica o verbale); la facilitazione, ovvero se la vittima in maniera conscia o inconscia si trova in contesti a rischio (come ad es. una persona che attraversa un punto della città di notte particolarmente malfamato). La vulnerabilità: la vittima è in pericolo per una sua particolare condotta o posizione sociale (ad es. alcune persone vengono mobbizzate sul posto di lavoro in quanto sottoposti non graditi); l’opportunità: se la vittima in quel particolare momento è una facile preda per l’aggressore (ad es., persone anziane che vanno a ritirare la pensione) e l’attrattività: ovvero la vittima è in possesso di un qualcosa che potrebbe richiamare l’interesse del criminale (ad es. un rappresentante di gioielli).
Le modalità di vittimizzazione, ovvero quali sono i sistemi attraverso cui un aggressore può sottomettere un’altra persona, possono essere: abuso sessuale, abuso verbale, abuso emotivo o psicologico (attraverso ad es. la denigrazione dell’altro, soprattutto nel lungo periodo, e la conseguente diminuzione di autostima), abuso spirituale (ad es. senso di tradire le proprie tradizioni religiose o quando la vittima pensa che la fede non lo protegga), abuso economico, abuso sociale (come scherzi esagerati, critiche eccessive e continuate, accuse false controllo costante dei movimenti del soggetto vittimizzato, etc.).
Esiste una serie di parametri relativi alle vittime e alle loro possibilità di essere colpite:
- Occasioni: strettamente collegate con le caratteristiche dei potenziali bersagli (individui, familiari, affari) e con le attività e i comportamenti di questi obiettivi.
- Fattori di rischio: in particolare relativi a caratteristiche socio-demografiche, quali l’età e il genere, la zona di residenza, l’assenza di protezione, la presenza di alcool e così via.
- Assalti motivati: gli assalitori, soprattutto non professionisti, non scelgono la loro vittima/ obiettivo in maniera casuale, ma la selezionano secondo specifici criteri.
- Esposizione: l’esposizione a potenziali assalitori e a situazioni e ambienti ad alto rischio aumentano il rischio di essere vittima di reati.
- Legami: l’omogeneità delle popolazioni di vittime e autori suggeriscono che l’associazione differenziale è importante sia per la vittimizzazione sia per il reato e il comportamento criminale. Così, individui che sono a contatto sul piano personale, sociale o professionale con potenziali delinquenti, corrono un rischio più elevato di rimanerne vittime rispetto a coloro che non lo sono.
- Ore e luoghi pericolosi: I rischi di vittimizzazione non sono distribuiti in modo uguale nel tempo e nello spazio. Ci sono momenti pericolosi come la sera, la notte inoltrata e i fine-settimana, e ci sono ugualmente luoghi pericolosi come quelli di intrattenimento, dove il rischio di essere vittima di determinati reati è più elevato rispetto all’abitazione o al posto di lavoro.
- Comportamenti pericolosi: Determinati comportamenti di tipo provocatorio aumentano il rischio di vittimizzazione violenta, mentre altri comportamenti caratterizzati da negligenza e superficialità aumentano le possibilità di una corretta vittimizzazione. Esistono comportamenti pericolosi che rendono questi atteggiamenti di per sé accattivanti in situazioni pericolose dove la propria capacità di difendersi e proteggersi nei confronti di attacchi è molto ridotta. Un esempio di queste situazioni è l’autostop.
- Attività ad alto rischio: aumentano ugualmente le potenzialità di vittimizzazione. Fra queste, si trovano la ricerca di divertimenti, che può includere attività illecite e illegali. È risaputo inoltre che talune attività come la prostituzione portano con sé un potenziale di vittimizzazione più elevato della media.
- Atteggiamenti difensivi e comportamenti prudenti: dal momento che numerosi rischi di vittimizzazione possono essere facilmente evitati, gli atteggiamenti della gente nei confronti di questi rischi possono influenzare le loro possibilità di vittimizzazione. Va da sé che coloro che corrono il rischio sono destinati ad essere vittimizzati con maggiore frequenza di coloro che lo evitano. Ciò significa che la paura della criminalità è un fattore importante nella riduzione della vittimizzazione di coloro che sono spaventati, per esempio gli anziani, che prendono più precauzioni, limitano le proprie attività diurne e notturne, riducendo così la propria esposizione e vulnerabilità alla vittimizzazione.
- Predisposizione strutturale e culturale: esiste una correlazione positiva fra powerlessness e deprivazione e frequenza di vittimizzazione. Parimenti, stigmatizzazioni culturali e marginalizzazione aumentano il rischio di vittimizzazione, designando determinati gruppi come “bersaglio giustificato” o vittime culturalmente legittimate.
La vittimologia ha focalizzato l’attenzione sulle false vittime per distinguerle da quelle reali. Le vittime che tali non sono vengono distinte in simulatrici e vittime immaginarie: entrambe sostengono falsamente, in vari modi, di essere oggetto di aggressioni o di aver subito comportamenti criminosi. Tuttavia la vittima simulatrice sostiene la propria accusa conoscendone la falsità e per motivi vari, quali la vendetta, il ricatto, la discolpa, che sono solitamente a fondamento del reato di calunnia. Invece la vittima immaginaria non è consapevole della falsità dell’offesa subita. Qui, la falsa accusa deriva dalla perdita o dalla mancanza del senso della realtà, ricollegabili a ragioni psicopatologiche.
Analizzando poi le vittime reali, queste si possono distinguere in accidentali e partecipanti. Nelle prime manca un qualsiasi rapporto con la condotta del criminale. Le vittime accidentali entrano nella genesi del reato in modo del tutto indipendente dal comportamento del criminale: per esempio la vittima di un’attività terroristica, dove il rapporto colpevole-vittima non ha nessun rilievo. Fra le vittime partecipanti, che sono quelle il cui il comportamento è correlato alla condotta del criminale, si possono trovare: le vittime per imprudenza (la circolazione stradale ne offre una grande varietà di esempi, come guidare in stato di ebrezza, che può creare situazioni in cui si è vittima di se stessi); le vittime alternative (si riscontrano in contesti in cui il soggetto si pone come possibile agente o vittima); le vittime provocatrici (per questi soggetti la causa della loro vittimizzazione è da ricercarsi in un precedente comportamento aggressivo) e le vittime volontarie (si tratta di soggetti passivi che sono tali per loro scelta e a seguito di consenso).
La vittimologia ha cercato di mettere in risalto alcuni elementi che caratterizzano i diversi tipi di vittima. È stato notato come esiste una certa corrispondenza tra questa predisposizione e alcune ipotesi normative, che accordano una particolare tutela a certi tipi di vittime caratterizzate da alcune qualità o condizioni. Queste predisposizioni, dette vittimogene, si possono classificare sulla base di criteri diversi. Una prima classificazione si basa sulla distinzione tra disposizioni innate e predisposizioni acquisite. Le prime sono quelle che l’individuo possiede sin dalla nascita, quali: sesso, vizio parziale o totale di mente, mutismo, cecità ecc.. Le seconde sono quelle che l’individuo acquista in un momento successivo alla nascita quali tratti psico-sociali, infermità, ecc.
In relazione al tempo, le predisposizioni possono essere permanenti, se accompagnano l’individuo per tutta la vita, e temporanee se accompagnano l’individuo solamente per un determinato periodo di tempo.
Secondo un’altra classificazione le predisposizioni vengono distinte in: biofisiologiche, sociali, psicologiche. Nelle predisposizioni biofisiologiche rientrano: l’età (esistono reati come l’infanticidio, la pedofilia, che possono essere commessi quando la vittima è molto giovane o appena nata; anche le persone anziane possono trovarsi in uno stato di debolezza fisica o anche di isolamento, che facilita la commissione di reato); sesso (si pensi alla maggior parte dei reati sessuali, dove la vittima è quasi sempre una donna, e ancora i reati come l’uxoricidio).
La predisposizione sociale può essere dovuta a: professioni o mestieri (psichiatri, prostitute, portavalori, agenti di polizia), status (stranieri immigrati, minoranze etniche di colore o religiose), condizioni economiche (individui che occupano posizioni sociali elevate o esposte al pubblico), condizioni di vita (vivere da solo o in luogo isolato, la condotta generale dell’individuo).
Tra le predisposizioni di tipo psicologico si possono citare le devianze sessuali (in modo particolare gli omosessuali sono soggetti ad essere vittime di rapine ed estorsioni) e gli stati psicopatici (le persone con disturbi psichici sono più soggette ad essere vittime di raggiri) e i tratti del carattere (la negligenza e l’imprudenza, la credulità o la fiducia, stanno alla base di molti reati patrimoniali).
La prevenzione, oltre che con interventi sulla vittima, deve avvenire attraverso azioni sull’ambiente perché solo tali misure possono efficacemente influenzare il tasso di criminalità e di vittimizzazione. E’ più facile e realistico cercare di intervenire sul comportamento della vittima che sulla condotta del criminale, soprattutto se si prende atto che: la probabilità di divenire vittima di un crimine non è ugualmente distribuita fra tutti gli individui; le circostanze costituiscono una sorta di predisposizione specifica nei confronti di determinati reati e le predisposizioni specifiche possono distinguersi in funzione dell’origine, della loro permanenza nel tempo, della loro natura.
In tema di riparazione del danno subito dalla vittima prevale l’aspetto economico, anche per il danno morale che si concretizza in uno stress psicologico, ma la sua entità è simbolica. Peraltro, il danno da stress psicologico, variando a seconda della vittima, rende più problematica una condanna al risarcimento. Di maggiore utilità risulterebbe, invece, la costituzione di centri d’assistenza che potrebbero aiutare la vittima a superare le difficoltà derivanti dal reato. Ecco perché è auspicabile l’introduzione o il miglioramento di alcune iniziative post-delictum quale: assumersi immediatamente cura della vittima; evitare alla vittima inutili intromissioni mediche, della polizia, della stampa; dare consigli alla vittima per il risarcimento e la riparazione; offrire denaro per superare le prime necessità; assistere la famiglia in attività successive al delitto, come ad esempio i funerali; attivarsi presso le società di assicurazioni e incoraggiare la vittima a denunciare il fatto. Anche nell’ambito di organizzazioni sovranazionali hanno trovato una sempre maggiore considerazione il ruolo della vittima e soprattutto le esigenze di protezione della stessa.
Articolo creato il 5 febbraio 2014.
Ultimo aggiornamento: vedi sotto il titolo.