Abuso di mezzi di correzione o di disciplina
L’articolo 571 del Codice Penale prevede che chiunque abusi dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi. Se dal fatto deriva una lesione personale si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583 c.p. ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.
Il termine “chiunque” lascerebbe intendere che mezzi di correzione, caratterizzati da un intervento fisico, siano consentiti, ove di essi non si abusi, non solo ai genitori con lo scopo di educare i figli, ma anche se posti in essere da altri soggetti preposti all’educazione di minori, di individui sottoposti a programmi di recupero, in regime di detenzione, di ricovero o in tutti i casi in cui sussista una condizione di subordinazione ad autorità pubblica o privata con poteri disciplinari.
In realtà non è legittimo l’impiego di alcuna coercizione fisica in ambito scolastico, penitenziario, lavorativo e così via, contrastando tale comportamento con i diritti fondamentali della libertà ed incolumità personale sanciti dall’articolo 13 della Costituzione.
Ai fini del concretizzarsi del reato il titolare del diritto educativo, deve superare i limiti dell’uso consentito e legittimo di tali mezzi; deve cioè realizzarsi una condizione di pericolo per la salute psico-fisica del soggetto passivo.
Ai fini di un corretto giudizio sulla liceità del mezzo correttivo o disciplinare bisogna definire cosa può intendersi per “mezzo consentito”. Secondo un certo orientamento giurisprudenziale sarebbero da ritenere consentiti i mezzi correttivi tradizionalmente adeguati ai fine educativo, escludendo quelli abnormi, quali bastoni, cinghie, fruste, ecc..
Il mezzo fisico lecito, che può a questo punto, ridursi al semplice schiaffo, resterebbe pur sempre eccessivo qualora adoperato con forza esuberante o venga reiterato.
Il reato si configura egualmente in tutti quei casi in cui il comportamento attivo od omissivo, anche se compiuto con evidente intento educativo, umili, svaluti e/o sottoponga a sevizie psicologiche un bambino, tanto da causargli pericoli per la salute fisica e psichica.
Il pericolo deve indicarsi come il rischio concreto del realizzarsi di rilevanti conseguenze sulla salute psicofisica del minore. Esso è dunque l’eventualità stessa che l’atto degeneri verso il concretizzarsi di un processo anormale dell’organismo che determini reattività dello stesso e tendenza ad evolvere verso qualsiasi delle tre ben note ipotesi: guarigione, invalidità o morte.
Il genitore che, con lo scopo di educare, mantenga nei confronti dei propri figli un atteggiamento vessatorio incorrerà nel reato più grave di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli.
Articolo creato il 5 gennaio 2014.
Ultimo aggiornamento: vedi sotto il titolo.