Trattamenti sanitari
La dottrina del consenso trae origine dalla carta costituzionale, che vede nell’art. 32 la più alta espressione di garanzia dell’affermazione del concetto di salute come bene-diritto fondamentale ed inalienabile: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Altri riferimenti si trovano nella legge 833 del 23 dicembre 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale (SSN), che riprende gli stessi principi costituzionali e dispone che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari cosiddetti obbligatori “devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato” (Art. 33). Inoltre, secondo l’art. 50 del codice penale (del c.p.) (“consenso dell’avente diritto”) “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, con il consenso della persona che può validamente disporne”, con i limiti dell’art. 5 del codice Civile (c.c.) che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo “quando cagionano una diminuzione permanente dell’integrità fisica”.
Queste disposizioni legislative prefigurano, pertanto, due tipi di accertamenti e trattamenti sanitari:
- Trattamenti sanitari volontari, che rappresentano la regola e che sono resi legittimi dal consenso della persona che può validamente disporne.
- Trattamenti sanitari obbligatori, che costituiscono eccezione alla regola e che possono essere effettuati senza il consenso dell’interessato.
Articolo creato l’8 febbraio 2014.
Ultimo aggiornamento: vedi sotto il titolo.