Raffreddamento cadaverico
Il raffreddamento cadaverico rientra tra i fenomeni cadaverici consecutivi. Con la morte cessa la termoregolazione, che mantiene la temperatura interna corporea attorno ai 37 °C, ed essendo poco significativa la termogenesi conseguente alle residue attività cellulari, il corpo comincia a perdere calore, andando ad uniformarsi alla temperatura ambiente.
Si tratta di un decremento che è influenzato da molteplici fattori, che possono essere distinti in:
- Fattori intrinseci: età, quantità di adipe, sviluppo della massa corporea, causa e modalità della morte.
- Fattori estrinseci: temperatura ambientale, umidità, ventilazione, presenza o meno di indumenti, qualità degli indumenti che ricoprono il corpo, presenza di mezzi più o meno isolanti (come coperte), posizione del cadavere (ad esempio se esposto al sole).
È quindi estremamente importante rilevare ogni dato circostanziale possibile per cercare di studiare il decremento termico.
Va rilevata la temperatura corporea interna utilizzando strumenti che consentano una misurazione oggettiva e confrontabile, non avendo alcuna utilità il dato del tutto soggettivo della percezione al tatto: deve essere pertanto utilizzato un termometro del tipo a bulbo da introdurre all’interno del corpo (di solito si usa la via rettale); va ovviamente rilevata la temperatura ambientale anche se più utili sarebbero i dati relativi alle ore precedenti.
Per valutare il decremento termico si dà per scontato che la temperatura interna al momento della morte sia 37 °C; da ricordare, però, che il decesso può avvenire in condizioni di ipotermia (congelamento; si ricordi che un corpo con una temperatura inferiore a 22-24 °C è sicuramente un cadavere perché sono valori incompatibili con la vita) ovvero di ipertermia (stati febbrili, ma anche morte per intossicazione da cocaina, in cui la temperatura corporea può raggiungere i 40 °C).
Del pari variabile è la temperatura esterna ed è importante conoscere esattamente la collocazione del cadavere (ambiente refrigerato d’estate o riscaldato d’inverno, ambiente chiuso, ambiente ventilato) e le escursioni termiche che si sono succedute. Un cadavere esposto al sole può raggiungere temperature assai elevate: ad esempio, all’interno di un’autovettura esposta al sole d’estate si possono raggiungere i 45 °C e oltre.
Importanti sono anche le condizioni del cadavere (vi è una notevole differenza nel decremento se è nudo o coperto da indumenti o addirittura sotto le coperte in un letto) e lo stato di nutrizione del soggetto, in quanto la dispersione del calore dipende dalla superficie corporea: un obeso disperderà meno il calore di un soggetto magro. Occorrerebbe quindi poter conoscere, oltre alla lunghezza del cadavere, il peso corporeo.
In condizioni particolari poi il raffreddamento è più veloce: nel cadavere immerso in acqua fredda corrente (ad esempio in un fiume) il decremento termico è doppio rispetto al cadavere all’aperto.
Una schematizzazione ragionevole per cadaveri in condizioni medie è quella che prevede:
- Fase di discesa lenta della temperatura, con decremento di circa ½ °C l’ora nelle prime 4 ore.
- Fase di discesa rapida della temperatura, con decremento di 1 °C l’ora per altre 4-6 ore.
- Fase di nuova discesa lenta della temperatura, con decremento di ½ °C l’ora, poi di ¼ °C, sino ad uniformarsi con la temperatura esterna, che si raggiunge dopo circa 24 ore dalla morte.
- Fase dell’equilibrio termico oltre la 24a ora.
Il cadavere livella la propria temperatura sempre in 18-24 ore, sia che si trovi a 30 °C sia che si trovi a 4 °C; ciò che cambia è la velocità con cui si raggiunge l’equilibrio termico.
Tramite un nomogramma che è uno schema in cui si inseriscono i vari dati (temperatura rettale, temperatura ambientale, peso corporeo, ecc.) si può avere un intervallo di tempo entro cui indicare la morte del soggetto.
Articolo creato il 7 gennaio 2014.
Ultimo aggiornamento: vedi sotto il titolo.