Accademia di Medicina di Torino,  Attualità

Vitamina D e COVID-19

L’ipovitaminosi D ha effetti sulla risposta immunitaria sia innata che adattiva come emerge da uno studio pubblicato da Nipith Charoenngam e Michael F. Holick (“MDPI Nutrients”), rispettivamente dell’Università di Bangkok e di Boston. Nelle conclusioni, citano un trattamento con 60 mila UI durante un periodo di dieci giorni per bimbi affetti da ittiosi congenita tra le argomentazioni per sostenere il ruolo della vitamina D nel mantenere una buona salute.

È uno degli studi che il prof. Giancarlo Isaia, presidente dell’Accademia di Medicina di Torino, e il prof. Antonio D’Avolio, professore di Farmacologia presso l’Università di Torino, includono in un appello che ha raggiunto ormai le ottanta firme di medici e professori da tutta Italia sul ruolo della vitamina D nella prevenzione e nel trattamento di Sars-CoV-2:
(https://www.accademiadimedicina.unito.it/attivita/altro/317-vitamina-d-nella-prevenzione-e-nel-trattamento-del-covid-19-nuove-evidenze.html).

L’ipovitaminosi D si sviluppa in pazienti affetti da Covid come conseguenza di differenti meccanismi fisiopatologici. Hatice Aygun della facoltà di medicina di Tokat in Turchia sintetizza in cinque punti come la vitamina D possa avere effetti protettivi e terapeutici nei confronti del Covid 19:

  • diminuisce la produzione di cellule Th1, riducendo conseguentemente la generazione di tempesta citochinica;
  • durante l’infezione virale, la vitamina D si attiva nelle cellule alveolari e produce catelicidine, contribuendo a ridurre la replicazione del virus;
  • inibisce l’espressione di ACE2 nei reni, fungendo da prevenzione per i pazienti diabetici;
  • la supplementazione di vitamina D previene l’accumulo di Angiotensina, causa di ARDS (sindrome da distress respiratorio acuto) e di altre malattie cardiovascolari;
  • infine, studi epidemiologici correlano mortalità o severità di infezione all’età anziana e al genere maschile. L’alta incidenza di Covid 19 è associata con il crescere di espressione di ACE2.

Si suppone come causa la ridotta disponibilità di 7-deidrocolesterolo (e del suo metabolita, colecalciferolo) e la marcata riduzione di colesterolemia, osservata nei pazienti con forme moderate e severe di Covid 19. Se ne occupa Marcello Alessandro del Centro Internazionale di Ingegneria genetica e biotecnologia di Trieste (“Redox Biology”, Elsevier), nel gruppo di lavoro figura anche il prof. Giuseppe Poli, tra i firmatari dell’appello in questione. Lo studio si incentra sull’attività dell’ossisterolo endogeno 27-HC (27-idrossicolesterolo), ne mostra il “drammatico” decemento nei livelli fisiologici valutati in caso di forma severa di Covid 19.

Anche nella metanalisi condotta da Marcos Pereira (“Critical Reviews in Food Science and Nutrition”) dell’università di Bahia, si analizza l’associazione tra l’ipovitaminosi D e la severità del Covid, specie nella popolazione più anziana.

Le considerazioni dei gruppi di lavoro, coordinati dal prof. Isaia e dal prof. D’Avolio, riguardano in primo luogo l’efficacia della vitamina D in relazione alla negativizzazione e all’evoluzione della malattia, se somministrata con obiettivo di prevenzione. Lo studio di Mamha Balla, dell’Università americana di Toledo nell’Ohio (“Journal of Community Hospital Internal Medicine Perspectives”) enuclea suggestioni sulle proprietà antinfiammatorie e antivirali della vitamina D. Il target plasmatico ottimale viene quantificato in 40 ng/ml somministrando dosi giornaliere di colecalciferolo sino a 4000 UI/die. In ambito terapeutico si propone un’unica somministrazione di 80 mila UI di colecalciferolo in bolo (Annweiler), oppure calcifediolo in quantità di 0,532 mg il primo giorno, 0,266 il terzo e il settimo giorno, poi una volta la settimana (Castillo), oppure una somministrazione di 60 mila UI di colecalciferolo per dieci giorni fino a raggiungere il dosaggio di 50 ng/Ml (Rastofi).

Si richiede l’attivazione di una “consensus conference” ma dalle autorità sanitarie competenti non è giunta ancora alcuna risposta. L’obiettivo consiste in uno studio randomizzato e controllato dell’efficacia terapeutica della vitamina D somministrata secondo i tre schemi sintetizzati. In secondo luogo, si propone una somministrazione preventiva di colecalciferolo orale (fino a 4000 UI/die) per soggetti anziani, fragili, obesi, operatori sanitari, congiunti di pazienti infetti, soggetti in comunità chiuse.

Il documento può essere ulteriormente condiviso inviando una e-mail all’Accademia di Medicina di Torino.

Riproponiamo le parole con cui si concludeva l’editoriale firmato dai proff. Isaia e Medico nel numero di agosto di “Aging clinical and experimental Research”:

I governi di tutti gli Stati, specialmente dove, come in Italia, si registra un alto tasso di ipovitaminosi D, dovrebbero promuovere una campagna pubblica per incrementare il consumo di cibi ricchi di vitamina D, incentivare un’adeguata esposizione al sole e, qualora non fosse possibile, prevedere una supplementazione farmaceutica, sotto controllo medico.

Prof. Isaia

 

Prof. D’Avolio