Anatomia patologica
L’anatomia patologica è una branca della medicina che studia le basi fisiopatologiche e morfologiche della malattia. Studia le malattie a livello molecolare, subcellulare, tessutale e d’organo; considera il malato come un’entità clinica con un substrato morfologico. L’anatomia patologica spiega uno o più sintomi di una malattia attraverso l’espressione morfologica della malattia stessa; i sintomi sono dovuti ad alterazioni cellulari di tipo molecolare, biochimico, alterazioni cellulari fino alla necrosi e alla crescita tumorale di una cellula. L’anatomia patologica studia la malattia anche da un punto di vista genetico per spiegare le alterazioni, quindi è una scienza “dinamica”; scende in dettaglio studiando alterazioni funzionali e molecolari, cioè la patogenesi. Le alterazioni si possono avere a livello submicroscopico, microscopico e macroscopico. Pratica strettamente utilizzata dall’anatomo patologo è l’autopsia, una parte dello studio che serve soprattutto ai clinici per determinare la causa di morte, comprovare l’efficacia di una terapia, chiarire i dubbi, informare la famiglia su possibili malattie genetiche, infettive o ambientali. Oggigiorno è utilizzata soprattutto in ambito legale, ma i suoi vantaggi sono quelli sopraelencati. Se, per esempio, un paziente arriva in pronto soccorso accusando malessere e poco dopo muore, il medico deve obbligatoriamente richiedere l’autopsia per capire e spiegare il motivo del decesso; stessa cosa se un paziente arriva in ospedale, segue una terapia, si sente bene, viene dimesso e poi muore subito dopo: l’autopsia chiarirà l’errore nella terapia eseguita. L’autopsia serve soprattutto quando c’è un’interruzione di gravidanza o il bambino nasce e poco dopo muore: probabilmente c’è qualche problema a livello genico. Ci sono, infatti, sindromi congenite cardiache che determinano la morte del neonato è quindi è sconsigliabile per la coppia avere dei figli. Soggetti che, per esempio, vanno in Africa, si ammalano di malaria e muoiono: l’autopsia permette di capire la causa. Ancora, soggetti che dopo aver lavorato per tutta la vita in determinate condizioni ambientali si ammalano e muoiono (per esempio per contatto con l’amianto). L’autopsia, inoltre, serve anche come strumento di docenza. Oltre a questo tipo che è definita autopsia clinica, c’è anche l’autopsia medico-legale (o medico-forense) che ha lo scopo di capire e spiegare le cause di morte a scopo legale, quindi in caso di morte violenta, suicidi, per cause sconosciute o sospette, quindi nei casi in cui ci siano implicazioni penali e civili. Con l’autopsia si arriva quindi alla diagnosi patologica, ma è bene ricordare che quest’ultima si avvale anche dei dati clinici.
Le modalità dei 2 tipi di autopsia (clinica e medico-forense) sono le stesse, solo che il medico legale pone una maggiore attenzione alla parte esterna, quindi nota se ci sono ferite da armi da fuoco, punture o, nei casi di sospetta morte per tossicità, preleva campioni in cui ricercare varie sostanze (per esempio droghe). Nel 95% dei casi l’autopsia risolve i problemi, spiega, cioè, la causa del decesso. Ci sono casi, però, in cui l’esame autoptico clinico non mette in evidenza nessuna malattia, nessun organo risulta colpito. Questo sta a significare che le cause di danno d’organo possono essere di tipo elettrico: un arresto di cuore causato da un’aritmia, da un arresto elettrico, non determina danni evidenti al cuore; ancora, squilibri idro-elettrolitici (alterazioni biochimiche) non mostrano alterazioni morfologiche evidenti.
Quando si fa una diagnosi di malattia, all’anatomo patologo si deve fornire il materiale su cui fare la diagnosi. Il materiale può prevenire attraverso una agobiopsia(con aghi di diverso calibro) su organi parenchimatosi come fegato, mammella, prostata. Grazie all’agobiopsia è possibile fare una diagnosi precoce, precisa e selettiva sulla prostata, tant’è che il carcinoma prostatico è diminuito di molto. Quando da un’analisi si rileva che la concentrazione del marcatore tumorale specifico della prostata (PSA) è superiore a 5 ng/ml di siero, il paziente viene sottoposto a ecografia prostatica ed agobiopsia prostatica se ci sono le condizioni. Si fanno prelievi multipli della prostata (12-13 in diverse localizzazioni dell’organo) che poi l’anatomo patologo studia. Dolori lombari e cedimento delle vertebre lombari giustificano la sintomatologia dolorosa, ma questi sintomi stanno ad indicare già una metastatizzazione a livello osseo. Grazie all’agobiopsia non si arriva più a questo livello in quanto c’è la diagnosi precoce. Le agobiopsie epatiche consentono di monitorare le epatiti croniche (da HBV e HCV). Agobiopsie eco-guidate vengono fatte sulla mammella se sono presenti noduli, soprattutto se si osservano calcificazioni che sono segno di una precedente necrosi e rappresentano il microfocolaio tumorale. Possono anche essere effettuate le agobiopsie a “cielo coperto”, cioè senza guida ecografia, TAC, RM. Sono agobiopsie fatte a caso; per esempio, in pazienti con versamento pleurico recidivante si fanno agobiopsie random sulla pleura. In queste condizioni l’agobiopsia è spesso negativa, ma siccome i carcinomi della pleura sono molto frequenti come tumori secondari, allora è comunque il caso di fare questi prelievi. Anche i noduli della tiroide e della mammella possono essere trattati con agobiopsie a “cielo coperto” perché e facile sentire sotto mano il nodulo, bloccarlo ed effettuare l’agobiopsia. Spesso può capitare di fare prelievi cutanei, per esempio su nevi che possono far pensare allo sviluppo di un melanoma a causa della loro aumentata dimensione, del loro cambiamento di colore. In questo caso si possono effettuare minibiopsie chirurgiche. I chirurghi toracici o addominali, invece, effettuano biopsie dopo aver aperto l’organismo. Un’altra modalità con cui i prelievi possono essere fatti è quella su organi cavi (vescica, bronchi, trachea, ecc.) sotto guida endoscopica: si utilizza un endoscopio con alle estremità una pinza e degli elettrodi. Questo va fatto anche in casi di malattie che non si manifestano endoscopicamente ma clinicamente sì; si possono avere esofagiti, per esempio, che danno sintomi ma alterazioni macroscopiche tardive (che non possono essere viste con l’endoscopio, ma che l’anatomo patologo riesce ad osservare); in ogni caso, comunque, bisogna fare uno o più prelievi random. È possibile fare diagnosi anche su campioni citologici, su cellule esfoliate. Questo va fatto per carcinomi del collo dell’utero che è il più frequente tumore in donne dai 18 ai 40 anni. È un tumore particolarmente aggressivo che metastatizza rapidamente. Il PAP-test, un esame indolore eseguito di routine durante una normale visita ginecologica, riesce a dimostrare la presenza di eventuali cellule modificate e quindi, poi, vengono fatti tutti gli esami successivi. In caso di lesioni displastiche si fa la conizzazione, cioè si esportano solo piccoli coni del collo dell’utero. L’esame citologico viene fatto anche per seguire le condizioni del paziente. Un altro tumore che si può riscontrare in soggetti giovani è il tumore della vescica; gente che lavora in industrie della plastica, di coloranti, parrucchieri che manipolano tinture inalando i loro vapori, sono soggetti esposti all’inalazione di aril-naftil-alamine, amine aromatiche che determinano il carcinoma uroteliale della vescia, un tumore che prende origine dall’epitelio di transizione. Le amine aromatiche a livello epatico vengono inattivate mediante glucuronazione; arrivate a livello vescicale, attraversato il filtro renale, si ha le deglucuronazione con conseguente danno a livello del DNA cellulare. I tumori della vescica hanno un’alta morbilità ma una bassa mortalità. Questo succede perché il paziente capisce che qualcosa non va in quanto può osservare ematuria, va dal medico curante il quale inizialmente può pensare a una cistite somministrando un antibiotico. Dopo aver utilizzato il farmaco, però, il paziente nota ancora presenza di sangue nelle urine e quindi approfondisce il caso facendo una cistoscopia. Dal prelievo che l’anatomo patologo esamina si deve evincere che il tumore deve aver coinvolto la parete muscolare: in questo caso si deve procedere con una cistectomia. Se la lesione, invece, si ferma negli strati antecedenti la parete muscolare, allora si deve monitorare il paziente, si fanno lavaggi vescicali con chemioterapici, quindi un esame citologico dell’urina periodicamente. Nella cistectomia radicale la vescica viene tolta in toto e gli ureteri vengono inseriti nel colon; in questo modo gli ureteri si possono infettare (frequentemente) oltre ad andare incontro a fenomeni di adattamento cellulare, quindi displasia e nuovamente carcinoma.
Articolo creato il 6 agosto 2011.
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